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mercoledì 25 ottobre 2017

Picasso, Fernande, Eva e Olga


Anno domini 1911. La fine del legame sentimentale tra Picasso e la belle Fernande è nell’aria - e il colpo finale lo sferra lei, quando lascia il pittore spagnolo per seguire un pittore italiano, Ubaldo Oppi, di cui si è momentaneamente innamorata. Dirà lei: l’ho fatto per ingelosire Pablo e ravvivare il nostro rapporto. Dirà lui: non avrei mai avuto il coraggio di lasciare la compagna dei giorni di povertà, ma andandosene con Oppi lei mi ha liberato. La fuitina dura pochi mesi, poi - come se niente fosse accaduto - Fernande sale su di un treno e raggiunge Picasso a Céret, certa di riprendere il suo posto accanto a lui. Le cose non vanno come lei vorrebbe, anzi ben presto prendono una brutta piega: Pablo - che è in compagnia di Eva, la sua nuova compagna - viene aggredito sia verbalmente che fisicamente da alcuni amici che hanno preso le parti di Fernande.
Il 21 giugno Picasso ed Eva lasciano i Pirenei cercando lidi più tranquilli. Dopo una breve sosta ad Avignone, il 26 ripartono con destinazione Sorgues-sur-l’Ouvèze (Vaucluse), dove Picasso affitta la Villa des Clochettes - due camere ed un atelier - per 80 franchi al mese. A luglio arriva l’amico Braque, da poco sposato con Marcelle Lapré, che s’installa poco lontano, nella Villa Bel Air e qui restano fino al 23 settembre, il giorno del loro ritorno a Parigi.
Da Sorgues Picasso, che vuole lasciare Montmartre, scrive una lettera al suo mercante chiedendogli di trovargli un nuovo appartamento con atelier. Alla fine di agosto Kahnweiler gli annuncia di aver trovato un bell’atelier-appartamento al 242 di Boulevard Raspail. Il pittore fa un salto a Parigi, vede l’appartamento e dichiara la sua insoddisfazione. Ciononostante, Kahnweiler si occupa del trasloco, cosa che permette a Pablo e ad Eva di occupare i locali sul Boulevard Raspail lo stesso giorno del loro rientro da Sorgues.
Com’era prevedibile, in Boulevard Raspail Picasso non mette radici. Un anno dopo occupa il 2° e il 3° piano di una casa da poco costruita nella vicina rue Victor Schoelcher, numero 5 bis. L’appartamento è comodo e lo studio è luminoso - seppur con finestre che danno sul cimitero di Montparnasse.


Anno domini 2017. Rieccomi per l’ennesima volta di fronte al 242 di Boulevard Raspail. Oggi tutto è nuovo, ricostruito. All’arrivo di Pablo ed Eva - che occupano il piano terra - qui vi era una casa a graticcio nota come cité Nicolas-Poussin, sede di una comunità d’artisti. Le ragioni che hanno spinto Picasso a lasciare Montmartre per Montparnasse è semplice: vuole abbandonare i luoghi che gli ricordano Fernande - una costante di Pablo, questa: una donna, una casa - e vivere una nuova vita con Marcelle Humbert, la donna che ama e che lui simbolicamente chiama Eva. Il Dôme e La Rotonde - i locali frequentati dai suoi amici scrittori - sono a due passi. Modigliani, altro amico di Picasso, ha il suo atelier sullo stesso boulevard, al numero 216. La baronessa d’Œttingen, grande ammiratrice (e collezionista) di Picasso, abita al 229. La redazione de Les Soirées de Paris, di cui Apollinaire è il direttore, è al numero 278. A Montparnasse Picasso non è solo.
Inoltre, in sintonia con Braque, il cubismo analitico caratterizzato da tinte marroni, beige e bianche cede il passo al cubismo sintetico, più ludico. Picasso ritrova i colori e le figure. Poi c’è lei, Eva, di cui Picasso è sinceramente innamorato e questo sentimento lo esprime inserendo nei suoi quadri frasi significative quali J’aime Eve (settembre 1912).
Marzo 1913: Pablo ed Eva tornano a Céret. La stagione è piovosa, Eva, già sofferente, s’aggrava. Continua a tossire. Anche Picasso s’ammala, colpito da una leggera forma di febbre tifoidea. Il 20 giugno i due rientrano a Parigi. Qui, il 22 luglio ricevono la storica visita di Matisse. Il 20 settembre Apollinaire cena per l’ultima volta in Boulevard Raspail. Subito dopo Picasso ed Eva traslocano in una casa vicina, di recentissima costruzione, in Rue Victor-Schœlcher. Ed è lì che mi sposto anch’io.

Per sancire il raggiunto status symbol, nel 1912 Paul Follot - uno dei più noti artisti decoratori del suo tempo (ceramiche per Wedgwood, tessuti per Corneille et Cie, oggetti in argento per Christofle) - si è fatto costruire un hôtel particulier al numero 5 di Rue Victor-Schœlcher. Ancor oggi questa casa si fa notare per la sua forma a pigna e per le ceramiche che ne decorano l’atrio e il piano terra.
Accanto, numero 5bis, vi è l’accesso a quello che fu l’appartamento e l’atelier affittato da Pablo Picasso nel 1913. Boulevard Raspail è dietro l’angolo, di fronte, ma visibile dai piani superiori, vi è il cimitero di Montparnasse. Vista macabra per i superstiziosi, non certo per Picasso: le ampie finestre del suo studio sono rivolte a nord e la presenza dell’ampio cimitero lascia spazio alla visuale, regalando tanta luminosità. In questo studio l’artista si dedica alle sperimentali sculture-assemblaggio, quali la Guitare in cartone e latta; con un giornale datato 23 dicembre, una scatola di cartone, della carta, guazzo, cartone e gesso crea il Violon - e queste sculture “a forma aperta” scuotono il mondo artistico parigino. Anche la sua pittura si evolve. Trasporta le sue sculture su tela (Guitare sur une table) e dipinge una stupefacente Femme en chemise dans un fauteuil, un quadro che esercita un enorme fascino su Breton e su Eluard: il cubismo getta i semi del surrealismo. Attirati dall’evolversi dell’arte di Picasso - vera festa di colori - al 5bis di Rue Victor Schœlcher bussano i futuristi Boccioni e Severini, ma anche De Chirico, Jacques Villon, Albert Gleizes, Fernand Léger e Modigliani. Derain, Max Jacob e André Salmon lasciano Montmartre per raggiungere Picasso a Montparnasse, il nuovo centro dell’arte.
Picasso realizza anche una serie di piccole nature morte che chiama Ma jolie, un amoroso omaggio ad Eva, la cui salute peggiora di giorno in giorno. Pablo si rattrista e con lei prende a frequentare studi medici, inutilmente.
Nel 1914 arriva la guerra. I suoi amici francesi sono chiamati alle armi. Il suo gallerista, Kahnweiler - tedesco ed ebreo - ripara in Svizzera. I colori sulle tele cambiano, le composizioni adesso sono più fredde. Nella primavera del 1915 gli zeppelin bombardano Parigi. Braque è gravemente ferito alla testa e subisce un trapanamento - e lo stesso sarà per Apollinaire.
In autunno Eva si aggrava. A novembre Picasso la fa ricoverare alla Maison de Santé Golman, 57 bd de Montmorency (terzo piano, camera K). Lei è cosciente della sua situazione e stando a quel che scrive Pierre Daix (Picasso, Hachette 2009, p. 228) un giorno avrebbe detto: «Je désespère de guérir. Pablo me gronde quand je lui dis que me crois pas voir l’année 1916».
Ha ragione: non vedrà il 1916. Muore per tubercolosi (di cancro alla gola, scrive Olivier Widmaier Picasso, figlio di Maya) il 14 dicembre 1915, all’età di 30 anni.
Scrive O’Brian, p. 249: A quel tempo la tubercolosi mieteva ancora molte vittime, in particolare quando mancavano combustibile e cibo: durante l’inverno Eva morì. Qualche amico accompagnò Picasso fino al cimitero, un numero tristemente esiguo se si pensa alla grande quantità delle sue conoscenze; fra questi c’erano Jacob e Gris. Gris scrisse a Maurice Raynal, che combatteva in trincea, per raccontargli del fatto: «C’erano solo sette o otto amici al funerale, il che ha reso la cerimonia molto più triste, a parte, naturalmente, le battute di Max, che ne hanno se mai sottolineato l’orrore… Picasso è molto abbattuto».
Picasso fa seppellire il corpo di Eva nel cimitero di Montparnasse, visibile dalle finestre del suo studio. Poi, senza avvisare Pablo, un bel giorno arrivano i parenti di lei e la bara viene trasferita altrove. Dal nulla è apparsa nel nulla è scomparsa.

Su Picasso piomba una cappa di tristezza ...finché un giorno d’aprile del 1916 un giovane poeta e scrittore viene a bussare alla sua porta. È Jean Cocteau, che vestito da Arlecchino - un omaggio ai quadri di Picasso - gli propone di realizzare i costumi di scena per Parade, un’opera scritta dallo stesso Cocteau e musicata da Satie. Dopo qualche titubanza Picasso accetta. Nel 1917 il gruppo si trasferisce a Roma per unirsi alla compagnia di Diaghilev, l’inventore dei Balletti russi. Nell’atelier di via Margutta Picasso crea gli abiti di scena e dipinge il grande sipario. La sera passeggia con gli amici, accompagnati da alcune delle ballerine di Diaghilev. Una di queste, Olga Khokhlova, attira l’attenzione di Pablo. Rammenta P. Daix in Picasso créateur, Seuil, 1987, p. 163: «Attention, lui aurait dit Diaghilev, une Russe, on l’épouse» (fai attenzione, gli avrebbe detto Diaghilev, una Russa, la sposi).
Così è. Il 12 luglio 1918 viene registrato all’ufficio di stato civile del VI arrondissement, place Saint-Sulpice, il matrimonio civile di Pablo Picasso con Olga Khokhlova - testimoni Jean Cocteau, Guillaume Apollinaire e Max Jacob - poi seguito da una celebrazione nella cattedrale ortodossa di Saint-Alexandre-Nevsky, 12 rue Daru, con tanto di corone di fiori sopra il capo degli sposi e nuvole d’incenso, come rito ortodosso prevede.

Nuova donna, nuova casa. In verità già da metà ottobre 1916 Picasso ha lasciato rue Schœlcher per trasferirsi a Montrouge - 22 rue Victor Hugo - in una villa tetra, una sorta di cubo amorfo con piccolo giardino. Ed è in questa casa che un giorno entrano i ladri: rubano tutta la biancheria ma lasciano al loro posto tutte le tele. A loro un Picasso non interessa. Meglio le sue mutande.

GIANCARLO MAURI



















mercoledì 18 ottobre 2017

Il battesimo di Max Jacob


Per i francesi il 1915 è il secondo anno di guerra. Parigi si è spopolata. Tutti i giovani artisti non richiamati alle armi si sono arruolati volontariamente. Picasso, cittadino spagnolo e nemico di ogni guerra, sente la mancanza dei suoi amici. Dei poeti soprattutto. Gli è rimasto Max Jacob, ebreo, omosessuale, riformato. La loro è un’amicizia che dura da anni, dal secondo arrivo di Picasso a Parigi. Era il 1902. A un Pablo che aveva toccato il fondo, l’altrimenti affamato Max aveva offerto un letto e un tetto. Un letto da condividere a rate: Max di notte, Pablo di giorno. Voci soffuse parlano di un attimo di abbattimento. La ringhiera scavalcata. Il vuoto sotto ai piedi. Poi il ripensamento. La vita è una guerra. Pablo la vincerà. Max morirà a Drancy, il campo di concentramento non lontano da Parigi. Ma era tutta un’altra guerra, impossibile da vincere per chi era nato da genitori sbagliati. Dio lo vuole.
Guillaume Apollinaire non è cittadino francese ma lo vuol diventare e l’arruolamento volontario è la strada per raggiungere lo scopo. Sceglie l’artiglieria di campagna. Per imparare ad utilizzare il cannone l’esercito lo spedisce a Nîmes, dove vi è una scuola. Ed è a questo indirizzo che Max Jacob inoltra una lettera contenente due passi (per lui) importanti, da me evidenziati:

7 janvier 1915.
GUILLAUME de KOSTROWISKY [sic]
2e C. C. - 38e Artillerie de campagne - 70e batterie - (Gard) NIMES
envoi de MAX JACOB, 17, rue Gabrielle, Paris (8e)

Bonne année, cher Guillaume !
Je te souhaite un affectueux bonjour.
Juan Gris.

Cher Guillaume,
Je suis assez malade depuis quelques jours et cette indisposition jointe à celle des circonstances a retardé une lettre que mon cœur me commandait. Je suis surtout contrarie que ton second billet ait devancé ma réponse au premier.
Nous avons tous été contents d’avoir de tes nouvelles par toi-même car chacun s’improvise nouvelliste de carrefour depuis la guerre et c’est un affolement pour les autres. Un tel t’avait vu à Rome, tel autre au Vésinet, tel autre à Orléans. Tous étaient sincères et cette sincérité même augmentait la perplexité de tes amis. La décision que tu as prise mérite des compliments, je laisse à ceux qui te connaissent peu le soin de te les faire ; rien de ce qui est grand ne me surprendra venant de toi, et les compliments ne vont jamais sans quelque étonnement chez qui les fait. En ce moment la conduite de chacun révèle son caractère et c’est un beau spectacle que de suivre les amis. Parce que je t’ai dit du mal des nouvellistes, je ne le parlerai pas comme eux, sinon de moi-même.
Tu travailles, dis-tu ! où ne travaillerais-tu pas ? Sur la Grande Roue, sur la Tour Eiffel et quand je dis « sur », je donne à ce mot sa véritable signification « à la surface ». Je travaille aussi à ma manière ; j’ai fait de grands progrès cet été dans la peinture, me dit-on, et je le crois. J’ai découvert que Tourgueneff est le meilleur romancier russe et le plus méconnu parce qu’il est francisé et que ce que l’on cherche ailleurs est ce qu’on ne trouve pas chez soi. Mauvaise méthode de critique ! D’ailleurs on n’a pas le droit de dire qu’on aime Tourgueneff : il n’est pas assez mystérieux pour la mode de 1913. J’ai découvert une poétesse anglaise qui se saoule toute seule mais avec du whisky. Enfin et surtout j’ai eu une seconde apparition de N.-S. Jésus-Christ qui m’a incité au baptême et je l’ai tant recherché que j’ai fini par en obtenir la promesse. Pablo sera le 20 janvier mon parrain et Sylvette Filassier, du théâtre des Variétés, ma marraine, s’il plaît à Dieu. Je fréquente les Pères d’un couvent de la rue N.-D. des Champs. (Que de majuscules suivies de points dans la religion catholique !) Pablo veut m’appeler « Fiacre ». J’en suis désolé - Le couvent de Sion abrite des Pères voués à la conversion des Juifs ; ils ne remplissent malheureusement pas souvent le but qui leur est assigné, non par manque de zèle mais par manque d’occasion. Pour qu’une machine à coudre fonctionne il faut autre chose que le machiniste et l’instrument. Le supérieur est un grand homme chevelu, robuste et fin qui a fréquenté Huysmans et Coppée : il en parle aimablement. Une espèce d’étudiant en soutane genre cheval assez gai et mondain a commencé mon instruction ; un tronc d’arbre ridé et basané par un séjour en Orient la continue. Quant à la grâce, j’en sens peut-être parfois les effets sans m’en rendre très bien compte car par un effet de mon caractère, j’attribue certaines clartés au fait du soleil, du vent, de la pluie ou de la mauvaise qualité de la nourriture des cantines artistiques.
[…]
J’ai passé l’été à remuer les malles de mes amis, à les porter de gare en gare. En ce moment je lis François de Sales, Tourgueneff et les Evangiles, je pose chez Pablo et devant lui : il fait de moi un portrait au crayon qui est bien beau, il ressemble à la fois à celui de mon grand-père, d’un vieux paysan catalan et de ma mère. Le reste du temps, je suis à l’Eglise ou chez moi m’apprêtant à la vie de chrétien de mon mieux.
[…]
Ton souvenir m’a fait grand plaisir, cher Guillaume ; ne doute pas que le mien ne te suive partout. Si tu m’écris bientôt, donne-moi des nouvelles d’Albert comme tu les as et de la sante de la mère. Mes frères et mes beaux-frères sont soldats et j’attends les ordres du recrutement pour les imiter. Je t’embrasse.
Max.
Les personnages des romans russes font songer à l’humanité russe telle que nous en avons les spécimens plus qu’à l’humanité humaine, qu’ils prétendent retracer. J’ai trouvé une certaine Eudoxie qui rapproche (ô shocking) Marie Wassilief de la baronne.

E sì, proprio quel 7 gennaio 1915 - il giorno in cui Picasso gli aveva fatto il ritratto, di grande interesse per la cronologia artistica del pittore - Gesù Cristo era apparso a Max per la seconda volta, esortandolo a cambiare pastore.


Precipitoso, Max annuncia all’amico militare che il prossimo 20 gennaio sarà battezzato. Pablo Picasso il padrino, l’attrice Sylvette Filassier la madrina, a Dio piacendo aggiunge. A noi banali terrestri sono preclusi i contatti diretti col Padre eterno, mentre i suoi interlocutori sono talvolta poco sopportabili. Spiego: il giorno seguente alla prima apparizione del Cristo (1909) sul muro della sua misera stanzetta in fondo al cortile del numero 7 di rue Ravignan, Montmartre, Max si reca a Saint-Jean-l’Evangéliste, la chiesa della sua parrocchia. In sacrestia trova un giovane vicario intento a fumare la pipa seduto a cavalcioni su una sedia. A lui Max si confida, chiedendo di ricevere il battesimo. Per tutta risposta il vicario gli ride in faccia, umiliandolo. Max reagisce all’affronto componendo il poema A un prêtre qui me refuse le baptême da cui estrapolo alcune righe:

Non ! va, ne jette pas aux prêtres l’anathème
Parce qu’ils te refusent, leurs bénédictions ;
Je t’aime et je saurai bien donner le baptême
A celui qui me plait quand il redit mon nom.
Le manteau de l’opprobre a sa douceur aussi ;
Il se faudrait de peu qu’on vous dise : merci.
Ceux qui plaisent à Dieu ne sauraient pas vous plaire
Toujours, Messieurs ! Adieu ! Je ne puis que me taire
A ce nouvel affront que je devais subir.
Ma bouche en vous parlant y gagne le sourire.

Altrove in questo stesso poema Max racconta di un’altra visione. Stavolta gli è apparso un giovane uomo vestito di nero accompagnato da una donna con l’abito arancione e pieghe verdi.
Max piange, prega, frequenta chiese. Inutilmente. Poi …il miracolo. Il 16 dicembre 1914, ad un tavolo de la Rotonde - luogo di peccato per i preti e i loro adoratori - un piccolo uomo gobbo e zoppo, monsieur Pica, rivela a Max che se davvero vuole ricevere il battesimo la via più facile passa per i padri di Notre-Dame-de-Sion, una istituzione fondata proprio per la conversione degli Ebrei. Aggiunge: li puoi trovare qui vicino, in rue Notre-Dame-des-Champs. L’indomani Max è al convento, munito di una lettera di raccomandazione scrittagli da Pica. A padre Schaffner Max racconta la sua vita e le sue confusioni: è indeciso se ritirarsi a vita monacale, se frequentare un seminario per diventare sacerdote, se restare laico. Scriverà Max: Il padre ha creduto che avessi più pentimento che fede; si sbaglia.


Uno dei rari piaceri che Max Jacob si concede è il cinema muto. A Parigi danno la Bande des Habits noirs di Paul Féval e lui non vuole perdersi lo spettacolo. Ci va la sera stessa dell'incontro con padre Schaffner. Durante la proiezione Max ha una nuova visione, che così racconta a Jean-Richard Bloch, un suo cugino di Quimper: […] Mio caro Jean! Mi sono convertito al cattolicesimo. Voi sapete che Dio mi ha fatto l’onore di mostrarsi a me il 28 ottobre 1909 al 7 di rue Ravignan. Lui ha rinnovato la sua visione ai miei occhi il 17 dicembre alle ore 10 1/2 della notte su uno schermo del cinema Parhé in rue de Douai. Esitare ancora sarebbe ingratitudine. Non mi aspetto che arrivi il Messia come fanno i miei fratelli: io l’ho visto! […] Non chiamarmi apostata! Io non nego nulla: non avevo nessuna religione, ne ho scelta una. Non ripetere tutto questo alla mia famiglia e credi nel mio profondo affetto. Max Jacob - Mi battezzo il 20 gennaio. Picasso è il mio padrino.
Il Cristo gli è apparso sullo schermo, proteggendo sotto il suo bianco manto i quattro figli della sua concierge, a cui Max cerca di dare loro un’istruzione. Già un miglioramento rispetto ad una precedente apparizione. Mentre pregava al Sacré-Cœur la Vergine gli era apparsa e gli aveva detto: Quanto sei brutto, mio povero Max! - Be’ non poi tanto brutto, Vergine santa aveva ribattuto lui, creando scompiglio tra i fedeli e mandando in bestia il sagrestano.


Padre Schaffner passa la mano e incarica un suo confratello, padre Ferrand, di avviare la procedura propedeutica al battesimo.
La data è fissata - 20 gennaio - ma ancora alcuni dettagli restano in sospeso. Quale nome di battesimo Picasso - il solo amico che ha preso sul serio il desiderio di conversione di Max - propone Fiacre, il santo irlandese del VII secolo vissuto nella foresta di Brie, vicino a Meaux, noto per non aver mai voluto a che fare con le donne, ma anche patrono dei giardinieri e invocato da chi soffre di emorroidi. Sfortunatamente nel 1620 colui che introdusse a Parigi le carrozze a noleggio ne installò il deposito in una casa che prendeva il nome proprio da quel santo, in Rue Saint-Martin, e per estensione tutte le carrozze a nolo di Francia presero il nome di fiacre. A Max Jacob questo accostamento proprio non va a genio e chiede a Pablo di scegliere un altro nome. Picasso fruga tra la vasta gamma dei suoi nomi propri di battesimo e nell’Imitazione di Cristo, il suo prezioso dono di battesimo, scrive la seguente dedica: A mon Frère / Cyprien Max Jacob / souvenir de son / Bapteme / jeudi 18 Febrier 1915 / Pablo.
Tutto risolto? Certo che no. Ai padri di Sion Max aveva indicato Pablo Picasso quale padrino, come madrina una sua preziosa collaboratrice, Sylvette Filassier, du théâtre des Variétés, …s’il plaît à Dieu. A Dio era forse piaciuta, ma lo stesso non può dirsi dei padri di Sion, che rifiutano quel nome: Sylvette non si è sposata in chiesa ma solo civilmente. Vade retro, Satana. Al contrario i padri non hanno nulla da eccepire sul padrino, il già noto Pablo Picasso, uomo che notoriamente conviveva con una donna divorziata. Max non comprende, s’arrabbia …e in questo dimostra tutta la sua ingenuità: argent oblige caro il mio poeta.
Il 20 gennaio arriva e passa senza che alcuna cerimonia si svolga. I padri mostrano una certa riluttanza inspiegabile e Jacob vede - a ragione - cattiva volontà. Scrive: I signori S ... ritardano il mio battesimo ogni giorno. Ho scritto a Padre S ... una lettera implorante, lui ha risposto che il mio istruttore è in viaggio. Sono andato al convento; mi è stato detto che nessuno poteva ricevermi. Ho scritto a Padre S ... una lettera gentile e molto ferma. Mi ha dato un altro istruttore. Sembra che la Chiesa non mi voglia.
Tutto s’accomoda, basta pagare. Il 18 febbraio 1915 nella chiesa di Notre-Dame-des-Champs, con Pablo Ruiz Picasso padrino e col nome della madrina - presente ma dimenticata sul certificato di battesimo - l’ebreo Max Jacob diventa il cattolico Cyprien Max Jacob.


Finisce qui la parte storica e inizia il mio racconto.
6 novembre 2015, rue Notre-Dame-des-Champs. Laddove un tempo vi era il convento dei padri di Sion oggi vi è una scuola privata destinata all’educazione dei figli della miglior borghesia parigina. È l’ora di punta, ragazzi e ragazze sciamano nell’androne d’ingresso e le inservienti hanno da fare per instradare i giovani nelle rispettive aule. Attendo che cali il silenzio, poi mi faccio avanti e racconto ad una signora quel che mi ha spinto a suonare al loro campanello: cerco il luogo dove Max Jacob ha seguito il corso propedeutico al battesimo. Nessuno sa niente, nessuno conosce quel nome: Max chi? Una seconda signora alza il telefono e parla con una dirigente responsabile. È così che incontro madame Wendy de Bourayne Desclée, Responsabile della Pastorale. La metto a parte delle mie ricerche, lei mi racconta i fatti: gli antichi edifici sono stati abbattuti - rue N.-D.-des-Champs era una strada di campagna, con atelier per artisti squattrinati. La nuova struttura scolastica nulla ha inglobato dell’antico monastero, però, se voglio, lei può mostrarmi la nuova cappella, in stile moderno. Accetto. Entro, guardo e col permesso di madame fotografo. Ci lasciamo scambiandoci i numeri di telefono e gli indirizzi di posta elettronica.






2 ottobre 2017. Stavolta il mio obiettivo è la chiesa di Notre-Dome-des-Champs, che non si trova nell’omonima via ma al 91 di Boulevard du Montparnasse, non lontano dai caffè resi noti da pittori, scrittori e presunti tali. Come d’obbligo, a sinistra trovo il fonte battesimale. Qui Max Jacob ha lasciato la religione dei sui padri per adottare quella dei suoi futuri aguzzini. Perché per i nazisti e i fascisti Max era nato ebreo e tale restava.
Esco. Un uomo seduto sui gradini della chiesa mi riporta alla mente la sequenza di fotografie, 21 per l’esattezza, scattate con una Kodak da Jean Cocteau. Tre di queste ritraggono uno scherzoso Max mentre riceve l’elemosina dal pittore Manuel Ortiz de Zárate; in una seconda lui prontamente rende l’elemosina ricevuta; nella terza si vede Max mentre si appresta ad entrare in questa chiesa. Le altre fotografie ritraggono Henri-Pierre Roché (scrittore e collezionista d’arte, autore di Jules e Jim), la pittrice d’origine russa Marie Vassilieff e Pablo Picasso, gli altri compagni di questo gioioso sabato 12 agosto 1916.