domenica 16 ottobre 2016

I Catari, Oldrado da Tresseno, Simone Weil e Marc Augé


Ho appena finito di leggere lo scritto di Carlo Bordoni - pubblicato su La Lettura #255 da oggi in edicola - che porta il provocatorio titolo: Augé: se il Papa negasse Dio avremmo la fine dei conflitti. Lo trovate a pagina 11. In realtà, con diversa argomentazione, l’articolo recensisce Le tre parole che cambiarono il mondo, un libro scritto dall’antropologo francese Marc Augé e pubblicato in Italia da Raffaello Cortina, con tanto d’intervista all’autore.
Stavolta ho deciso di restare seduto sulla riva del fiume, i piedi sciacquati dall’acqua che scorre. Sulle guerre nate e cresciute in seno alle religioni monoteiste - quante “crociate” e quante guerre mondiali hanno scatenato gli “incivili” popoli politeisti/animisti? - tanto ho scritto in passato, quindi quel che potevo dire (e dare) ho detto (e ho dato), salvo ripescare dal fondo del pentolone una mail da me inviata otto anni fa, che qui ripropongo.

Mail inviata il
31 ottobre 2008

Ho sotto gli occhi il libro di Paul Vayne, Quando l’Europa è diventata cristiana (312-394). Costantino, la conversione, l’impero, Garzanti 2008.
A pagina 10 leggo:

Gli storici non amano tanto la ricerca delle eccezioni e preferiscono il sano metodo della «serializzazione»; inoltre, hanno un senso della banalità, della quotidianità, di cui mancano così tanti intellettuali che credono al miracolo in politica o, al contrario, «calunniano il loro tempo per ignoranza della storia», come diceva Flaubert.

Questa semplice verità mi rimanda ad un importante saggio: I Catari e la civiltà mediterranea di Simone Weil, edito nel 2004 da Marietti 1820. È un volumetto - 98 pagine in tutto - da leggere con estrema attenzione, tanto bella e profonda è l’analisi che la Weil dedica alla crociata scatenata dal vescovo di Roma contro i Catari, cristiani manichei che abitavano nel Sud della Francia - ma anche in Italia, dove avevano in quel di Concorezzo una delle loro più importanti comunità ecclesiastiche, prima di finire arsi vivi, in compagnia dei confratelli di Sirmione e Desenzano, nell’Arena di Verona.
I due scritti di Simone Weil - assolutamente da leggere - sono accompagnati da una Nota di Gian Luca Potestà e da questa estraggo alcuni brani:

Nella storia, i vinti sfuggono all’attenzione. La storia è sede di un conflitto darwiniano anche più spietato di quello che governa la vita animale e vegetale. I vinti spariscono. Non sono. (p. 77)

Di fronte al massacro [lo sterminio degli abitanti di Béziers], gli stessi crociati dovettero esitare, se dice il vero il cronista Cesario di Heisterbach riportando la scarna indicazione dell’abate cistercense Arnaldo Amalrico, guida spirituale delle operazioni: «Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi». (pp. 82-83)

Cartagine, Troia: due storie che dimostrerebbero la profonda differenza fra lo spirito dei Romani e quello dei Greci: da un lato la pax romana come ideologia intimamente sopraffattrice, che del vinto vuole cancellare ogni residuo e ogni traccia; dall’altro una campagna vittoriosa che non consegna i vinti dall’oblio, ma ne celebra il ricordo [con l’Iliade]. (p. 84)

Romani ed Ebrei sono stati ammirati, letti, imitati negli atti e nelle parole, citati tutte le volte che c’era da giustificare un crimine durante venti secoli di cristianesimo. (p. 86)

Per Simone Weil la Chiesa è venuta assumendo nel corso della sua storia le fattezze, quasi apocalittiche, di un «grosso animale totalitario». Un punto molto importante e delicato riguarda il nesso religione/forza/guerra. A questo proposito le sue parole danno ancora a pensare, anche ben oltre il momento in cui le scrisse. Per lei, passa infine di qui la differenza fondamentale che oppone il testo della Bhagavadgītā a quello della Leggenda di Giovanna d’Arco: «Differenza capitale: egli fa la guerra sebbene ispirato da Dio, ella fa la guerra perché ispirata da Dio». (pp. 92-93)

Richiamo l’attenzione su questa grandiosa intuizione:

«Differenza capitale: egli [Arjuna] fa la guerra sebbene ispirato da Dio [Kŗsna], ella fa la guerra perché ispirata da Dio».

Un testo da mettere sotto il cuscino, affinché ci rechi beneficio anche durante il sonno.



Oggi, a.d. 2016, aggiungo: l’Adelphiana datata 11 ottobre 2002 include tra le sue pagine Riflessioni sulla guerra, uno scritto di Simone Weil estratto da Oeuvres complètes, vol. II: Écrits historiques et politiques, Éditions Gallimard 1988. Riprendo l’esergo:

Il demone dell’analogia mal si presta a essere maneggiato dai dilettanti, e i richiami storici hanno la sgradevole caratteristica di ritorcersi, spesso, contro chi li propone.
Così, a forza di considerare il satrapo di Baghdad l’erede naturale - o l’equivalente postmoderno - di quello che governò Berlino fra il 1933 e il 1945, si pensa di scatenargli contro una guerra. Non più «nuova», stavolta, ma semplicemente «preventiva» - proprio come quella di cui si discuteva nell’Europa del 1933, e a cui Simone Weil dedicò, su «La Critique sociale» (X, novembre 1933), queste pagine dense e ferventi.

Faccio un passo indietro e ritorno al provocatorio (?) titolo: Augé: se il Papa negasse Dio avremmo la fine dei conflitti. A Milano ogni giorno centinaia di persone circondano chi racconta loro le bellezze di Piazza Mercanti, ed io - che da quelle parti sono di casa - ogni volta mi chiedo: quante di queste persone hanno conoscenza dei fatti e dei misfatti dell’uomo a cavallo che dall’alto domina quella stupenda piazza, noto col nome di Oldrado da Tresseno? Sì. Perché fu lui a distruggere la comunità catara di Concorezzo, incamminando gli adepti - con deviazione per raccattare i confratelli di Sirmione e Desenzano - fino a Verona, dove le autorità locali pensarono bene di completarne la purificazione dell’anima e del corpo organizzando un gigantesco falò. In 166 si riscaldarono le ossa quel 13 febbraio dell’anno 1278. Deus le volt!

In seguito, gli storici entrati nei panni dell’avvocato difensore del cavalier Oldrado, scrissero che lui fu costretto a sterminare i Catari per ordini calatigli dai suoi superiori, residenti in Germania. Le stesse cose che diranno i gerarchi di grigio e di nero vestiti nei processi dell’ultimo dopoguerra. Gott mit uns stavolta.

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LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI














giovedì 13 ottobre 2016

Il chiostro della Collegiata di Sant’Orso in Aosta


Rieccomi qui davanti a questi capitelli - visti, rivisti e studiati attraverso i lavori di Robert Berton (Aosta. I capitelli del chiostro di Sant’Orso. Tipografia Valdostana, 1956) e di Sandra Barberi (Il chiostro di Sant’Orso ad Aosta. L’Erma di Breitschneider, 1988), testi a cui rinvio per le informazioni storiche e artistiche.
Entrando da piazza Sant’Orso il visitatore si trova di fronte gli ultimi capitelli del versante ovest, quelli numerati 21, 22 e 23 da Berton e da tutti gli altri studiosi a lui succeduti. Ergo, per dare un senso alla visita si deve prendere a sinistra - il simbolismo su cui si appoggia il sacro prevede sempre che si giri in senso orario, il “giro della vita”, così come il senso anti-orario è il “giro della morte”. L’oriente, madre del rito sacralizzato, insegna.
All’angolo col versante nord, a lato dei gradini si vedono i resti della primitiva chiesa voluta dal vescovo Anselmo (994-1025), un affresco mostra una nera Madonna col nero Bambino; sull’angolo una figura scolpita riposa a testa in giù, alla maniera del pipistrello.
Alla fine del lato nord l’angolo del chiostro è occupato da un pilastro su cui sono scolpiti dei mostruosi animali: è il capitello numero 1, l’inizio della visita - prevista in senso anti-orario. Ce ne faremo una ragione.

Dal lavoro di Sandra Barberi (op. cit., pagine 20-24) estraggo alcuni passaggi, significativi per comprendere quest’opera d’arte.

Il chiostro aostano possiede una struttura comune a molti monumenti transalpini.
A pianta rettangolare, affiancato al lato meridionale della chiesa, presenta 14 arcate sorrette da 13 colonnine singole sui lati lunghi: 8 arcate sorrette da 7 colonnine alternativamente singole e geminate sul lato ovest; 4 arcate sostenute da 3 pilastri ottagonali sul lato est, che verosimilmente aveva in origine la medesima struttura di quello occidentale. Ai quattro angoli e al centro dei lati le arcate sono rinforzate da pilastri.
I 40 sostegni sono sormontati da altrettanti capitelli in marmo bianco verniciato di nero, di cui 38 sono romanici e due, sul lato orientale, più recenti.
Le gallerie nord, sud e ovest sono coperte da volte di mattoni a crociera ribassata, con costoloni quadrati; la galleria est da volte a vela costruite in epoca posteriore.
Il corpus dei capitelli romanici è composto dai 38 capitelli in loco, ai quali se ne aggiungono 4 conservati al Museo Civico di Torino.
[…] Le larghe basi di imposta modanate di tipologia corrente nel XII secolo, sono in bardiglio di Aymavilles dipinto di nero come le colonne e i pilastri angolari.
[…] Certamente fu dovuto a Giorgio di Challant, alla fine del ’400, un altro rifacimento sul quale le fonti non forniscono alcuna notizia.
[…] Probabilmente in questa occasione è avvenuto un rimontaggio del chiostro, come paino suggerire incongruenze nella successione dei soggetti rappresentati e l’incoerenza di numerose basi di imposta con i capitelli sui lati sud e nord.
[…] La questione della cromia del chiostro, ancora tutta da studiare, merita un’attenzione particolare.
Attualmente tutti gli elementi dei sostegni sono ricoperti da una patina di vernice nera, stesa non si sa né quando, né a che scopo.
L’ipotesi che tale colorazione sia originale va esclusa per motivi anzitutto tecnici, in quanto ricopre anche rotture e abrasioni e graffiti quattrocenteschi; inoltre si tratterebbe di una scelta totalmente estranea all’estetica romanica, incline piuttosto alla policromia ottenuta sia con la colorazione artificiale, sia con l’uso di materiali diversi, cui si legavano significativi simboli.
Il testo dell’iscrizione elogiativa incisa sul capitello n. 25 sembra suggerire una varietà di toni cromatici anche nel chiostro ursino, costituito da «marboribus varii», cioè marmi di vario genere, variopinti. In effetti già l’uso del marmo bianco per i capitelli e le basi e del bardiglio - grigio e verdastro con screziature - per le basi di imposta e le colonne doveva creare un effetto di variazione cromatica.

Bene. Adesso che sappiamo che il nero ha sostituito i colori originari, che i tanti rifacimenti hanno modificate il senso del discorso biblico e che i soffitti lignei originari sono stati sostituiti da volte in muratura, possiamo iniziare il nostro percorso, meglio se con l’aiuto di una terza, agile guida: Il chiostro della Collegiata di Sant’Orso in Aosta, pubblicata dalla Tipografia Valdostana (io ho l’edizione 1992, ma ho visto che è ancora ristampata e venduta a 6 euro la copia); il testo è di Piergiorgio Thébat, le foto di Attilio Boccazzi-Varotto.

Da parte mia, qui sintetizzo le sculture dei capitelli, poi raccontati per immagini alla fine dell’elenco - ricordando che quanto esposto non sempre trova d’accordo i diversi autori.

Lato Nord
1 - Figure di animali mostruosi accovacciati
2 - Nabucodonosor e i tre giovani - Azaria, Anania e Misaele - da lui fatti gettare nella fornace ardente
3 - L’Annunciazione, con san Giuseppe, la Vergine e il re Davide
4 - La Natività. “Bello” il volto del Bambino fasciato e sdraiato
5 - I tre Magi e il re Erode
6 - La fuga in Egitto. Al coricato san Giuseppe appare in sogno l’angelo
7 - Capitello a volute
8 - Lapidazione di Santo Stefano; per altri: Giobbe in ricchezza, malattia e miseria
9 - Scena di quotidiana vita monastica. Per altri: il servo di Abramo porta doni a Rebecca, chiesta in sposa da Isacco, con Labano, fratello di Rebecca, al pozzo
10 - Capitello decorato a fogliami, con 4 teste di animali
11 - Quattro arpie o quattro sirene dal corpo di uccello
12 - La favola della volpe e la cicogna
13 - Capitello con fogliami
14 - Capitello con foglie e frutti
15 - Capitello con foglie di acanto

Lato ovest
16a - Rebecca partorisce Giacobbe ed Esaù, assistita da una levatrice;
16 b (copia) - Esaù a caccia di cervi; Giacobbe riceve la benedizione paterna destinata ad Isacco
17 - Il sogno di Giacobbe
18a - Il gregge di Labano, fratello di Rebecca
18b - Lia e Rachele, con Giacobbe che toglie la pietra che copre il pozzo
19 - La riconciliazione di Esaù con Giacobbe, con figli, figlie, servi e bestiame
20a - I tre figli di Giacobbe e la loro sorellastra Dina
20b - Lia, Rachele (che nasconde gli idoli rubati)
21 - Giacobbe in lotta con l’angelo e poi in piedi, come Israele, appoggiato a un bastone; compaiono anche Lia e Rachele, le mogli di Giacobbe
22a e 22b - Otto figli di Giacobbe
23 - Capitello a foglie di acanto

Lato sud
24 - Quattro aquile
25 -Viticci e teste d’ariete
26 - Composizione allegorica, con la divisione dei beni tra il capitolo della Cattedrale e quello di Sant’Orso. Per altri: l’albero della vita
27 - I profeti Zaccaria, Malachia, Sofonia, Aggeo
28 - I profeti Daniele, Isaia, Geremia, Ezechiele
29 - I profeti Naum, Abacuc, Giona, Michea
30 - I profeti Abdia, Osea, Gioele, Amos
31 - I profeti Balaam, Elia, Mosè, Natan
32 - Episodi della vita di Sant’Orso
33 - La resurrezione di Lazzaro, gli apostoli Simone e Andrea, il Cristo mutilo della testa
34 - Maria Maddalena asciuga i piedi del Cristo; accanto vi è Marta
35 - Arnolfo, primo priore della Collegiata, presentato da Sant’Orso a sant’Agostino mentre il vescovo Erberto lo benedice; vi è anche san Pietro, co-titolare della chiesa collegiata
36 - Capitello con la data di fondazione del capitolo regolare: ANNO AB INCARNATIO(NE) D(OM)INI MCXXXIII IN H(OC)

Lato est
37 - Capitello a foglie di acanto
38, 39, 40 - Capitelli del XVIII secolo

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI





Lato nord
capitelli 1-15



























































Lato ovest
capitelli 16-22
































Lato sud
capitelli 25-36