lunedì 11 luglio 2016

Giorgio Ambrosoli, avvocato milanese


A Milano l’11 luglio 1979 veniva ucciso Giorgio Ambrosoli, avvocato, liquidatore per conto dello Stato italiano della Banca Privata di Michele Sindona.
Su di lui si è scritto tanto ma, soprattutto oggi, sono dell’avviso che uno solo è il libro che merita di essere letto o riletto: Un eroe borghese, di Corrado Stajano.
Volendo andare oltre, esiste anche un pluri-premiato film diretto da Michele Placido ed uscito nelle sale nel 1995 con l’identico titolo.
Oggi il Corriere della Sera web ricorda il delitto Ambrosoli con un breve filmato, reperibile a questo indirizzo:


Il popolo ama dimenticare i “non eroi” che giorno dopo giorno ci ricordano che siamo esseri umani, non pecore.
Per età rammento gli umori del tempo, dove i sinistri denigravano l’avvocato Ambrosoli definendolo “un uomo di destra” e i giornali tanto amati dai benpensanti esentasse dire, neppure tanto velatamente: “beh, però se l’è andata a cercare…”.
Già, se l’è andata a cercare: capito mi hai?

Oggi, 11 luglio, voglio ricordare Giorgio Ambrosoli proponendo un mio scatto della lapide murata al numero 1 di via Morozzo della Rocca, a cui aggiungo le prime pagine del citato libro di Stajano, invitandovi a rileggerlo per intero, così, giusto per non dimenticare Giorgio Ambrosoli, un avvocato milanese.


Corrado Stajano
Un eroe borghese
Einaudi, Gli struzzi 411, 1991
pp. 3-8

Sembra una qualsiasi sera d’estate in una città semivuota. Fa un caldo piatto e umido, a Milano, l’11 luglio 1979, quando sei uomini soli decidono di andare a mangiare in una trattoria di via Terraggio, «Ai 3 fratelli», tra il bar Magenta, il cinema Orchidea e la basilica di Sant’Ambrogio. È un ristorante toscano, coi lampadari di ferro battuto, le travi di legno allo scoperto, un archetto di cotto sopra le porte a ripetere un improbabile rustico. E appese alle pareti, collane di salsicce, pentole, campanacci.
L’appuntamento risulta dall’agendina tascabile dell’avvocato Giorgio Ambrosoli: 8,25 Zileri; 8,30 Rosica. Come ragazzi passano sotto casa a chiamarsi l’un l’altro. Sono amici dai primi anni ’70, i tempi dei Decreti delegati. I figli frequentavano l’asilo e la scuola elementare di via Ruffini, i genitori si conobbero durante le discussioni serali nella palestra. Vicini di casa, dello stesso ceto sociale, professionisti, industriali, dirigenti di azienda, le idee consonanti della Milano moderata, cominciarono a vedersi anche fuori della scuola.
La moglie di Ambrosoli è a Monte Marcello con i bambini, la famiglia Rosica è in Irlanda, gli Zileri sono a Forte dei Marmi. Sarebbe davvero una cena senza storia, quella di Giorgio Ambrosoli, Francesco Rosica, Stefano Gavazzi, Franco Mugnai, Paolo Zileri, Giampaolo Lazzati.
Ambrosoli è stanco, ma allegro, cordiale, sembra sollevato da un peso, un esame temuto che ha avuto buon esito. Per tre giorni è stato interrogato come testimone, al Palazzo di Giustizia, dal giudice istruttore Giovanni Galati e dai giudici e dagli avvocati arrivati dagli Stati Uniti per una rogatoria ordinata dalla Corte federale di New York che ha per argomento la bancarotta della Franklin National Bank di Michele Sindona. Le risposte di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della sindoniana Banca Privata Italiana di Milano hanno grande importanza per l’istruzione del processo della banca americana.
Ambrosoli non parla mai, non ha parlato mai della ragnatela in cui è calato dal 27 settembre di cinque anni prima quando il governatore della Banca d’Italia Guido Carli lo nominò commissario liquidatore della banca. Solo qualche volta, se le notizie diventano pubbliche, si sgela un po’ e incrina la sua riservata natura. Ma gli amici non sospettano in quale mondo oscuro viva e sia vissuto in quegli anni.
Quella sera accenna alla rogatoria, ai giudici e agli avvocati americani, ma solo per dire che tutto è filato liscio. Si era preparato con cura e i difensori di Sindona che contavano molto sulla rogatoria milanese per alleggerire la posizione processuale del loro cliente sperando nella smagliatura delle risposte dell’avvocato, tornano a casa incattiviti.
L’ultima udienza è finita nel primo pomeriggio, William E. Jackson, Special Master del Distretto Sud di New York, è già partito per gli Stati Uniti; giudici, avvocati e testimone devono tornare in tribunale la mattina dopo, ma solo per rileggere il verbale di testimonianza e per firmarlo.
Al tavolo dei «3 fratelli», gli amici chiacchierano. L’estate, il terrorismo che seguita a mostrarsi truculento, la politica, le difficoltà di formare il governo dopo le elezioni anticipate del 3 giugno. Andreotti ha rinunciato all’incarico pochi giorni prima per il veto dei socialisti e il presidente Pertini ha appena convocato Craxi al Quirinale. Ce la farà? Sul « Corriere della sera » di quell’11 luglio, spicca in terza pagina un lungo articolo di Walter Tobagi dedicato a Craxi: «Non sono un padre padrone».
Alle dieci e mezzo i sei hanno finito di cenare. Due di loro, Gavazzi e Zileri, sono appassionati di boxe e gli piacerebbe vedere alla Tv qualche ripresa dell’incontro tra Lorenzo Zanon e Alfio Righetti: in palio, al Palasport di Rimini, c’è il titolo europeo dei pesi massimi. La casa più vicina è quella di Ambrosoli. Comincia il conto alla rovescia, con le dodici riprese dell’incontro di boxe che scandiscono l’ora e mezzo o poco più che manca a chiudere anche la vita di Giorgio Ambrosoli.
Una casa rassicurante, quella dell’avvocato, in via Morozzo della Rocca numero 1. Un corridoio divide le camere da letto, i bagni, il guardaroba e la cucina, dal soggiorno ampio e lungo che sembra lo scafo di una nave, con un divano color rosa antico, un altro divano beige, un trumeau, una piccola scrivania, quadri, stampe, oggetti amorosamente raccolti, poltrone vecchiotte. È arduo pensare che la mafia e la criminalità politica sono arrivate fin qui a sconvolgere l’ordine di una casa che sembra così al riparo. In un angolo c’è un tavolo rotondo Impero, dove l’avvocato Giorgio Ambrosoli lavora la notte fino alle 3, alle 4.
Si sfilaccia senza pietà anche l’ultimo brandello della vita di Giorgio Ambrosoli. Mentre Gavazzi e Zileri guardano la Tv e gli altri fanno da controcanto al telecronista, Ambrosoli parla con Rosica, avvocato anche lui. Ha deciso, è la prima volta dopo anni, di fare una vera vacanza e di passare l’agosto tra il mare e la campagna di Ortona, la città abruzzese dell’amico. Sul divano color rosa antico firma l’assegno per la caparra. La firma gli viene un po’ storta.
Che cosa fa l’assassino mentre Ambrosoli pensa alle vacanze, mentre Zanon e Righetti si caricano di pugni e le grida del Palasport di Rimini rimbombano nella scatola della Tv? Ha trovato rifugio in un bar, è immobile nella 127 rossa davanti alla casa, sta cercando la sua vittima nei posti frequentati dall’avvocato che conosce bene dopo i pedinamenti fatti in quei giorni, gira senza stancarsi per le strade deserte del quartiere in cui Ambrosoli ha abitato quasi tutta la vita?
Un quartiere della borghesia tradizionale mescolata ai ceti che vivono sui beni della proprietà ecclesiastica, i conventi, le confraternite, gli ospedali, gli istituti religiosi, le chiese. Da quella meraviglia dell’arte e della cultura che è Santa Maria delle Grazie e dagli orti dove lavorava Leonardo, al Pio Istituto del Buon Pastore, all’ospedale San Giuseppe, alla residenza dell’Università Cattolica alle case delle suore e dei preti rimesse a nuovo di continuo col giallo ocra di Maria Teresa imperatrice d’Austria.
Se si osserva il rettangolo del quartiere che ha per lati via Carducci e il viale di Porta Vercellina, via San Vittore e corso Magenta e si entra nell’intrico di strade spesso private, chiuse da muraglie, sbarre e cancelli vigilati da occhi elettronici, via Giovannino de Grassi, via San Giovanni di Dio, via De Togni, ci si rende subito conto di come è consolidata la ricchezza di chi ci vive e di come resiste la forma delle cose, nonostante l’urto del tempo. Lo si vede nei vecchi giardini con qualche putto di cemento rattristato, ravvivati d’autunno dai roghi delle foglie rosse, nelle case illuminate la notte come in un miraggio, coperte d’edera e di glicini, con le portinerie simili a palazzetti vigilati da portinai inavvicinabili.
All’undicesima ripresa, Zanon è investito da una gragnola di pugni. Resiste, contrattacca. L’incontro finisce alla pari, il titolo europeo resta a Zanon.
Poco dopo mezzanotte in casa Ambrosoli telefona qualcuno. L’assassino che vuol sapere se l’avvocato è in casa?
Giorgio Ambrosoli scende in strada a salutare gli amici. La sua Alfetta blu è parcheggiata sul marciapiede e questo gli fa venire in mente di portare a casa in macchina chi abita più lontano. La compagnia si scioglie, Gavazzi e Zileri vanno a piedi, Ambrosoli accompagna Rosica e Mugnai e, ultimo, Lazzati, in via De Togni 7, vicinissimo.
L’assassino arrivato dall’America ha seguito Ambrosoli nella notte di Milano? Sta aspettando nella via dove sa che abita un amico dell’avvocato?

Deposizione di Charles E. Rose, sostituto procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Est di New York: «In data 11 luglio 1979 William Arico noleggiò una Fiat rossa, con la quale si recò in vari posti che sapeva frequentati da Ambrosoli, avendolo pedinato in precedenza. Trovò infine Ambrosoli in uno di quei posti, ma non fu in grado di dirmi il nome della persona che abitava in quella casa o il suo indirizzo. Mi disse solo che a quanto pareva era un amico di Ambrosoli e che lo aveva visto là altre volte. Vide che il signor Ambrosoli stava andandosene, entrando nella sua auto. Il signor Arico ritenne che stesse tornando a casa e, facendo una strada diversa, partì rapidamente in macchina diretto all’abitazione di Ambrosoli, dove giunse quasi contemporaneamente a lui. Il signor Ambrosoli stava per scendere dalla macchina quando il signor Arico, sceso dalla sua Fiat rossa, si diresse verso di lui e gli chiese in italiano: “Il signor Ambrosoli?” Al che il signor Ambrosoli rispose “Sì”, e allora Arico gli disse esattamente: “Mi scusi, signor Ambrosoli”, e con la sua 357 Magnum gli sparò al petto tre colpi. Dopodiché Arico tornò alla sua Fiat rossa per fuggire... Arrivato vicino alla sua macchina, si voltò indietro, e vide che Ambrosoli era caduto a terra e che intorno a lui si erano raccolte tre persone...; disse che queste persone non avevano niente a che vedere con l’omicidio, che aveva commesso da solo... Il giorno seguente Arico tornò negli Stati Uniti».


L’avvocato Giorgio Ambrosoli è stato assassinato sul passo carraio della sua casa. Esattamente quattro piani sotto l’angolo del soggiorno dove lavorava fino a notte alta, sul tavolo Impero, a cercare di districare le carte dei neri misteri di Michele Sindona.


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